L’autonomia regionale potrà causare disparità per i cittadini più fragili, come quelli malati o con disabilità. Dopo l’approvazione in Senato del disegno di legge sull’autonomia differenziata, che traccia il campo dei confini sui quali le Regioni potranno ottenere maggiore autonomia in ambito salute, istruzione, ambiente, trasporti, ecc, il DDL (che dovrà comunque passare alla Camera), viaggia in coppia con i LEP (Livelli essenziali delle Prestazioni), ovvero gli standard minimi dei servizi che devono essere erogati e garantiti in tutte le Regioni.
E’ proprio sui LEP che si concentrano alcune preoccupazioni, stante in primis la difficoltà di stabilire quali sono, dal momento che significa sintetizzare diritti civili e sociali da garantire ai cittadini in indicatori e livelli di prestazioni misurabili, ma anche e soprattutto sulla loro erogazione ai cittadini. A questo proposito, alcuni osservatori si dimostrano preoccupati dalle ricadute che l’autonomismo regionale potrebbe avere sulla reale distribuzione dei servizi ai cittadini, dal momento che le Regioni potranno trattenere il gettito fiscale legato alle erogazioni del servizi per l’utilizzo di quelle risorse sul proprio territorio. Il timore è che le autonomie regionali possano tradursi in disparità tra cittadini che vivono in una regione o un’altra. Vi è il rischio che non siano garantiti i Lep, come dice la legge, in maniera omogenea in tutta Italia, creandosi uno squilibrio con le regioni più povere del Mezzogiorno, con minore capacità di spesa. L’assenza di risorse dello Stato, lasciando tutto alle risorse territoriali, potrebbe non consentire di garantire i servizi minimi, aumentando, di fatto, le disparità territoriali e tra i cittadini. Sarebbero i più vulnerabili, e tra loro le persone con disabilità, a pagare, in termini di welfare e diritti. Più che sull’autonomia differenziata sarebbe opportuno valutare un’autonomia solidale, con lo Stato a sostenere le Regioni in maggiore difficoltà.
L’autonomia differenziata rischia di determinare disequità territoriali nelle cure, partendo dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), nati per definire quali cure garantire a tutti e diventati però criteri per giudicare l’efficienza dei servizi sanitari regionali. Per quantificare la distribuzione del Fondo Sanitario Nazionale, il sistema dei LEA non ha funzionato, ma la soluzione non sembra essere rappresentata dai Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). Dal concetto di assistenza si passa a quello della singola prestazione. Ma la cura dei pazienti oncologici è a 360 gradi e non si riduce a una somma di prestazioni, ad esempio alla sola somministrazione dei farmaci o alla possibilità di accedere tempestivamente a un intervento chirurgico. È un insieme complesso di elementi, che concorrono a risultati importanti, come la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti.
In un sistema sanitario dove è già forte la concorrenza fra sistema pubblico e privato, con la realizzazione del regionalismo differenziato, è concreto il rischio che le stesse strutture pubbliche entrino in competizione fra loro e che le Regioni più ricche offrano ai professionisti migliori contratti e remunerazioni più elevate. Il Servizio Sanitario Nazionale è uno dei migliori al mondo, ma ha bisogno di ‘manutenzione’ e di essere difeso nella sua principale caratteristica, cioè l’universalismo delle cure.