Tutti assolti in appello gli imputati per l’omicidio di Serena Mollicone. I giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma hanno assolto, per non aver commesso il fatto, l’ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, in provincia di Frosinone, Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Annamaria. Confermata dunque la sentenza di primo grado. Tra fischi e proteste, il presidente del collegio, Vincenzo Capozza, ha letto il dispositivo di assoluzione. La procura generale aveva sollecitato 24 anni di carcere per l’allora comandante di Stazione e 22 anni per il figlio Marco e la moglie Annamaria. Il cadavere di Serena Mollicone, la studentessa di 18 anni uccisa ad Arce in provincia di Frosinone a giugno del 2001, venne ritrovato nel bosco di Fonte Cupa, nel comune di Fontana Liri. Accusati dell’omicidio, dopo mesi di indagini, sono stati l’allora comandante della stazione dei carabinieri, per cui la procura generale chiedeva 24 anni di carcere, il figlio Marco e la moglie Annamaria, per i quali la procura generale sollecitava condanne a 22 anni di carcere. Imputati anche due carabinieri, in servizio nella caserma di Arce all’epoca del delitto.
A decidere, in camera di Consiglio, la sentenza sull’omicidio sono stati i giudici e i giurati popolari della corte d’Assise d’Appello di Roma. Con il verdetto della Corte d’Assise d’Appello sono stati, dunque, assolti in appello la famiglia Mottola e i 2 carabinieri. L’accusa aveva chiesto 24 anni di carcere per il sottoufficiale e 22 per i familiari. Assolti per non aver commesso il fatto. Dopo 23 anni, l’assassino di Serena Mollicone non ha ancora un nome. I giudici della corte d’Assise d’Appello di Roma, tra le urla e gli insulti degli amici e dei parenti presenti in aula, hanno letto il dispositivo con cui i componenti della famiglia Mottola, accusati a vario titolo del delitto, sono stati assolti per la seconda volta. Assolti anche i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Secondo l’accusa, il cadavere della studentessa, ritrovato nel bosco di Fontecupa, nel comune di Fontana Liri, venne abbandonato ancora agonizzante in quella località, dopo che era stata tramortita nella caserma di Arce, con un colpo sferrato sbattendole la testa sulla porta, perno centrale dell’inchiesta, poi scaturita nel processo. Un dibattimento durante il quale sono state presentate dalla procura generale una serie di indizi scientifici che però non hanno trovato pieno riscontro nella realtà dei fatti. Versioni che alle volte sono risultate contrastanti e stridenti tra loro. Poco attendibili sono state considerate le deposizioni dei testimoni che all’epoca dei fatti entrarono come persone informate nella vicenda e che conoscevano Serena. Nell’aula, alla lettura della sentenza era presente anche Carmine Belli, il carrozziere di Arce che venne accusato dell’omicidio e che poi fu assolto nei tre gradi di giudizio. Era presente, tra gli amici della giovane vittima, che indossavano una t-shirt con la scritta ‘Serena vive’, il noto artista del fumetto Zerocalcare intervenuto per portare solidarietà.
“Giustizia è stata fatta”, è stata la frase pronunciata in lacrime da Mottola, mentre il figlio Marco non è riuscito a trattenere le lacrime. Come ha spiegato a margine della lettura del dispositivo, il criminologo e porta voce dei difensori dei Mottola, Carmelo Lavorino, “c’è stato un innamoramento della tesi e un inganno strutturale che hanno portato le indagini fuori strada. Oggi come allora è stato perso tempo prezioso che ha fatto sì che il vero assassino la facesse franca finora. Serena non ha ancora avuto giustizia”, ha concluso Lavorino. “Speravo che almeno questa volta venisse fatta giustizia, anche a mio padre. Gli elementi questa volta, portati in aula dall’accusa erano stati di più”, le parole di Maria Tuzi, la figlia del brigadiere dei carabinieri morto suicida nel 2008: con le sue dichiarazioni vennero riaperte le indagini. I giudici della corte d’Appello di Roma, hanno condannato al pagamento delle spese processuali tutte le parti che, dopo la sentenza di assoluzione di primo grado, hanno proposto il ricorso in Appello: tra loro i familiari di Serena Mollicone. Condannati a pagare le spese anche i parenti del brigadiere Tuzi, morto suicida nel 2008, il comune di Arce e il ministero della Difesa. Un’altra assoluzione dunque, quella incassata dalla famiglia Mottola. Assolti per non aver commesso il fatto. “Consideri che a Cassino abbiamo circa 50 udienze, a Roma più di venti – spiega Mauro Marsella uno degli avvocati della famiglia Mottola – La vicenda processuale è stata scandagliata nei minimi dettagli e i signori Mottola sono innocenti e la giustizia ce lo conferma per la seconda volta”. Marco Mottola, uno degli accusati, insieme al padre Franco se la prende invece con la stampa: “Avete causato voi questo incubo, voi accusate prima della sentenza – grida ai giornalisti fuori dall’aula – Non voglio generalizzare ma molti di voi non hanno raccontato ma accusato”. “La pace con tutto quello che ci hanno fatto passare. non c’è”, rincara il padre, anche lui imputato. “Sono soddisfattissimo è stato premiato il lavoro della giustizia – è stato il commento dell’avvocato Francesco Germani – La giustizia italiana ha due caratteristiche: è lenta ma arriva”.