Germania: da locomotiva a zavorra

Il rischio di passare da locomotiva dell’intera Unione Europea a una vera e propria zavorra, in grado di compromettere o quantomeno rallentare la crescita continentale, è oggi reale e tangibile alla luce degli ultimi dati relativi allo stato dell’economia tedesca. Gli economisti al riguardo usano la preoccupante espressione di crisi strutturale, un termine che non lascia adito a dubbi, l’economia tedesca è in sofferenza e probabilmente lo sarà anche nel prossimo futuro, perché semplicemente per come è stata concepita nel suo insieme non funziona o, meglio, non funziona più. Il fatto, poi, che nel giro di pochi anni si sia passati dall’essere un modello da seguire a un modello da evitare non deve sorprenderci più di tanto alla luce dell’estrema variabilità degli equilibri geo-politici mondiali e delle numerose turbative in atto che non possono non avere un’incidenza sul piano economico. Il quadro mondiale negli ultimi frangenti è, infatti, profondamente mutato e alla luce di questo cambiamento il modello economico tedesco non sembra più in grado di dare risposte adeguate sia in termini di competitività che di crescita.

Da crisi economica a crisi sociale

Quando l’economia non funziona, le ricadute principali incidono soprattutto sul piano sociale, sulle condizioni di vita del ceto medio che più di ogni altro risente dell’aggravamento delle condizioni di vita. Reddito pro-capite fermo e crescita dell’inflazione sono senza dubbio cause dell’impoverimento della popolazione e all’origine di tensioni sociali. Tensioni sociali che sono inevitabili quando si scopre ad esempio che molti pensionati vivono sulla soglia di povertà o che ad almeno un minore su cinque nell’Est del paese tocca la stessa sorte. Quando tutto ciò succede in un paese, quando il modello di economia adottato non è più in grado di garantire un livello accettabile di vita si aprono scenari preoccupanti come, ad esempio, guardare con occhi diversi l’immigrazione o dare pieno appoggio politico a forze estremiste.  L’immigrazione, così, si trasforma da risorsa ad elemento di concorrenzialità sul piano sociale e a chi rivolgersi se non ai partiti estremisti da sempre ideologicamente imparentati con la xenofobia. In questa prospettiva come non leggere il successo elettorale dell’Afd, nelle scorse elezioni regionali, come conseguenza della situazione economica?

I nodi vengono al pettine

Quando i nodi vengono al pettine, quando il frutto di alcune scelte sbagliate, anche non recentissime, finiscono per creare i loro effetti non ci si può sorprendere di trovarci di fronte a un paese tristemente avviato al perdurare della recessione, dove non c’è crescita da almeno 5 anni e dove non si prospetta nulla di buono nell’immediato futuro. Un modestissimo +0,3% in 5 anni di incremento del PIL, proprio nulla rispetto al 4,7% dell’Italia e al 3,7% della Francia. Con ogni probabilità molti elementi che covavano da tempo, come la scarsità d’investimenti e la debolezza dei consumi non hanno avuto da parte della politica nazionale la giusta considerazione. Ora che le stime future di crescita vengono di continuo tagliate al ribasso è ormai non più procrastinabile un ripensamento dell’intera struttura economica del paese magari mitigando il dogma del pareggio di bilancio ad ogni costo.

Il pareggio di bilancio

Il dogma del pareggio di bilancio, vero e proprio chiodo fisso della classe politica tedesca, abituata maniacalmente a tenere sotto controllo il livello di spesa pubblica ha finito, come rovescio della medaglia, per contribuire ad un progressivo assottigliamento degli investimenti. Effetto di un simile atteggiamento è stata l’arretratezza attuale di alcuni settori nevralgici dell’economia. Al riguardo basti citare il bassissimo livello di digitalizzazione del paese che mina dalle fondamenta la capacità del sistema produttivo ed amministrativo di dotarsi di una struttura operativa al livello di altri paesi. La penuria di investimenti come conseguenza del rispetto del pareggio di bilancio e l’arretratezza che ne è scaturita più che una virtù, oggi come oggi, possono essere definiti come frutto di una miopia della classe politica incapace di distinguere tra debito buono e debito cattivo. Vale a dire incapacità di riconoscere che al di là di un debito pubblico cattivo, soldi spesi male, esiste un debito pubblico buono in grado di produrre ricchezza elevando attraverso l’innovazione le condizioni sociali, originando un vero e proprio circolo virtuoso di cui oggi non si ha traccia.

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