Quando parliamo di Cina l’immagine più immediata è quella di una super potenza economica e industriale e a nessuno, a tal proposito, verrebbe mai in mente un ulteriore primato, conquistato negli ultimi anni dalla Repubblica Popolare, vale a dire quello del sapere scientifico.
Una posizione di superpotenza del sapere, ormai stabilmente delineata, che si pone come il risultato di un lunghissimo percorso basato su massicci investimenti in ricerca e sviluppo. Un percorso virtuoso inimmaginabile solo qualche anno addietro dove le posizioni di primato erano di assoluto dominio delle potenze occidentali con gli Stati Uniti nelle vesti di leader assoluto.
Gerarchie capovolte nel volgere di pochi anni con una tendenza di crescita che non tende ad esaurirsi sospinta non solo dall’ingente massa di capitali investiti ma anche da un modello di ricerca totalmente differente da quello occidentale.
Un modello che ha consentito agli scienziati cinesi di superare già nel 2022 i colleghi statunitensi nel Nature Index per il numero di contributi ed articoli scientifici per le Scienze naturali. mentre nel 2023 quasi 830.000 articoli di ricerca sono stati pubblicati da università e centri di ricerca cinesi, circa il 15% del totale a livello mondo.
Il modello cinese: il ruolo centrale dello Stato.
Come accade per ogni aspetto produttivo e strategico, anche nel modello di ricerca cinese, domina la figura dello stato che assume un ruolo di assoluta centralità, fissando le linee guida che dovranno ispirare e regolamentare il settore. Una realtà totalmente differente da quella occidentale dove il mondo della ricerca è spesso e volentieri abbandonato alle interferenze delle industrie private.
Il governo cinese si muove quindi in una direzione opposta rispetto a quella occidentale considerata fallimentare in quanto producente un sistema che finisce per essere null’altro che uno strumento volto a rafforzare gli interessi privati ai danni della collettività.
Nella visione cinese la ricerca è uno strumento per il benessere e lo sviluppo socioeconomico della popolazione in grado di produrre tali effetti solo se inserito in programmi di sviluppo generale che, come tali, ricevono la più opportuna regolamentazione, secondo la visione cinese, attraverso la disciplina e la regolamentazione statale.
Lo stato, dal canto suo, fa la sua parte arrivando a incrementare di 16 volte, dal 2000 ad oggi, la spesa in ricerca mentre, invece, in occidente la tendenza è opposta con cali drastici delle risorse destinate alla ricerca.
C’è poi da dire che, mentre in molti paesi occidentali assistiamo alla cd fuga dei cervelli, in Cina il fenomeno non esiste. Infatti, dalla fine degli anni 2000 la Cina conta un numero sempre maggiore di scienziati anche grazie al massiccio rientro in patria di gran parte dei 6 milioni studenti che tra il 2000 e il 2019 avevano abbandonato il paese per andare a studiare nelle più prestigiose università occidentali.
Ormai il primato nella ricerca può ritenersi un dato pienamente acquisito per la Repubblica popolare che si pone al vertice in maniera sempre più evidente nelle classifiche mondiali relative alle scienze fisiche, alla chimica, alle scienze ambientali.