Harris Vs Trump: attacco Vs difesa

Durante la notte, nella patria della democrazia Philadelphia,  è andato in scena l’attesissimo duello televisivo tra i due candidati alla casa bianca, Donald Trump e Kamala Harris. Un appuntamento fondamentale, in questa campagna elettorale breve,  che probabilmente non avrà repliche; quindi l’unica possibilità reale per entrambi i candidati di  erodere il consenso dell’avversario. Novanta minuti, la durata di una partita di calcio, per illustrare programmi e progetti e soprattutto per demolire quelli dell’avversario senza farsi scrupolo di scendere sul personale così come sempre successo in occasioni del genere.

DUE MONDI A CONFRONTO

Ieri, con il dibattito di Philadelphia, sono venuti a contatto due visioni, due stili e due mondi contrapposti. Così come era già successo nelle passate elezioni anche queste ultime, infatti si presentano estremamente divisive in quanto praticamente su tutte le tematiche i due candidati si dimostrano portatori di valori e di idee totalmente contrapposti. Aborto, immigrazione, economia e tutti i temi più importanti nella vita di una nazione diventano, così, terreno di scontro che hanno alimentato l’animosità dei novanta minuti di Philadelphia.  Un dibattito, per la verità, iniziato in maniera stranamente soft anche se era palese, fin dai primi minuti, che l’iniziale quiete avrebbe presto lasciato spazio al duello senza esclusione di colpi.

KAMALA ALL’ATTACCO, TRUMP IN DIFESA

Kamala Harris è partita all’attacco prendendo le distanze dall’amministrazione Biden (io non sono Joe Biden) ponendosi al pubblico statunitense nelle vesti di leader della nuova generazione democratica. Una scelta chiaramente strategica che le ha consentito di affrontare il duello è tutta la campagna elettorale senza portarsi dietro il peso dei tentennamenti dell’amministrazione Biden di cui è vicepresidente in carica.

È partita all’attacco puntando a ridicolizzare il suo avversario accusandolo di aver venduto l’America a Putin e di suscitare nient’altro che l’ilarità dei leader del mondo.  Trump, ha resistito fino a quando ha potuto, finendo, come ampiamente previsto, per scendere nella contesa  contrattaccando l’avversaria proprio sulle tematiche internazionali andando giù duro con l’accusa di odiare Israele”se diventa presidente nel giro di due anni Israele sparirà”.

Proprio sul terreno della politica internazionale Trump ha avuto modo non solo la possibilità di difendersi meglio ma anche di realizzare qualche punto a favore, così quando ha affermato “telefonerò a uno e all’altro” riferendosi al presidente russo Putin e a quello ucraino Zelensky.

Ma anche su questo terreno la Harris non si è fatta trovare impreparata definendo Trump un leader non solo vecchio e rancoroso ma anche debole “ Putin se lo mangerebbe a colazione” l’ affermazione sul punto.

In sostanziale sintesi Kamala Harris è riuscita bene ad affondare il coltello nelle debolezze del suo avversario riuscendo a far emergere più o meno bene i tratti di una figura politica intrisa di autoritarismo antidemocratico e pericolosamente dedito all’ isolazionismo internazionale. Accuse alle quali il tycon ha replicato abbozzando una difesa fatta di accuse personali “ tutti sanno che è marxista”.

LE REAZIONI: IL GIORNO DOPO

Il giorno dopo ci si chiede chi abbia vinto il duello andato in scena nella nottata italiana. A leggere i maggiori quotidiani americani come il Washington Post (Harris tiene Trump sulla difensiva) e l’autorevole New York Times ( Harris mette Trump sulla difensiva) appare evidente la dinamica del dibattito dove Trump è stato costretto, come poche volte gli è successo, dì muoversi su un terreno che gli è poco congeniale, quello della difesa avendo trascorso gran parte della sua carriera ad attaccare l’avversario politico. Di qui appare evidente e si possono anche, in qualche modo giustificare, i suoi tanti imbarazzi che hanno riempito i novanta minuti di Philadelphia.

I primi sondaggi post dibattito premiano la Harris con il 63% delle preferenze. Una vittoria non schiacciante ma comunque in grado di rappresentare un buon punto di partenza alla vigilia delle prossime intensissime settimane di campagna elettorale.

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