Ottenuta l’investitura ufficiale presidenziali di novembre durante la convention di Chicago l’ex Procuratrice Generale della California, nonché vicepresidente in carica, la cinquantanovenne Kamala Harris si appresta ad affrontare una durissima campagna elettorale promuovendo e facendosi scudo del suo progetto politico, della sua idea di America del prossimo futuro.
Un progetto politico che mira a porre l’accento principale sulle esigenze dell’americano medio, oggi più che mai preoccupato dall’incalzare dell’inflazione, dal caro alloggi e dall’impennata delle spese necessarie per dare una vita dignitosa ai propri figli.
Un programma senza dubbio ambizioso frutto di una precisa scelta di campo come mettere al di sopra di ogni cosa le problematiche quotidiane dell’americano ma un programma anche rischioso sia sotto il profilo delle conseguenze economiche sia sotto quello puramente strategico.
Il progetto politico della Harris, un mix tra Bidenomics e populismo economico.
Tenendo fede ai propri propositi il programma politico di Kamala estremizza la politica economia del suo predecessore strizzando decisamente l’occhio al ceto medio. Solo il tempo potrà dirci se questa scelta così radicale rappresenterà o meno la strategia in grado di spalancare le porte della Casa Bianca per i prossimi anni.
Dubbi non mancano al riguardo. Un programma così spiccatamente sbilanciato a favore del popolo e delle problematiche più comuni, tanto da essere, da più parti, definito come un evidente esempio di populismo economico rischia di produrre effetti che molti autorevoli analisti economici non esitano a definire come una catastrofe per la tenuta dei conti pubblici. In altri termini se Kamala Harris tenesse fede ad ogni singola promessa, intervenendo senza alcuna esitazione in tutte le questioni che preoccupano l’americano medio, l’effetto sarebbe un incremento, in termini di trilioni di dollari, del debito pubblico a stelle e strisce. La preoccupazione, del tutto legittima degli analisti è che il sistema America, con le sue limitate prospettive di crescita, non sia in grado di sostenere investimenti di tal portata.
Ma aldilà dei costi, degli investimenti e della preoccupazione per la tenuta dei conti pubblici gli analisti, questa volta politici, si domandano se una strategia di questo genere possa o meno pagare in termini di consenso popolare. A tal proposito, in particolare, ci si interroga se un programma ultra-populista come quello della Harris possa suscitare l’incondizionata fiducia popolare oppure possa essere semplicemente rilegato nel novero delle semplici promesse elettorali.
Senza dimenticare di menzionare un ulteriore rischio insito in questa strategia che è quello di rinunciare, quasi apriori, al sostegno dei repubblicani scontenti o comunque in più o meno aperta rottura con l’ingombrante e divisiva figura di Donald Trump. Il pericolo sarebbe di non approfittare a dovere del sostegno delle voci di dissenso che esistono in campo avverso, dove una figura come quella di Trump, poco incline alla politica di partito, ha sicuramente prodotto non solo sostenitori ma anche un buon numero di influenti nemici.
L’effetto Harris
Prepariamoci a questa lunga battaglia divenuta incerta proprio grazie all’investitura a candidata democratica della Harris. Perplessità a parte a cui solo il tempo dovrà rispondere circa la fondatezza, possiamo già oggi agli albori della contesa elettorale, cogliere nel partito democratico una ventata di entusiasmo che dovrà essere in grado di spazzare via quell’immagine di partito mestamente destinato ad una sicura sconfitta frutto della leadership decadente dell’attuale presidente in carica.