È ormai trascorso un lasso di tempo sufficientemente lungo per potersi fare un’idea, ben più precisa di quelle iniziali, sugli effetti scaturiti dalla Brexit in termini di ricadute economiche, politiche e sociali per il paese. E a tal proposito, non possiamo non osservare come l’iniziale entusiasmo, andato a scemarsi gradualmente negli ultimi anni, abbia finito per lasciare spazio a un diffuso e crescente scetticismo.
Nonostante i tempi non siano ancora maturi per una bocciatura definitiva, il diffondersi dello scetticismo è sicuramente un campanello d’ allarme significativo, insieme a tanti altri, che hanno condotto, in maniera sempre più diffusa molte autorevoli testate giornalistiche a parlare di pentimento in relazione all’operazione Brexit. Bregret, il termine utilizzato a tal proposito, un termine che nasce, infatti, dall’unione delle parole Britain e Regret ossia proprio pentimento.
Brexit: avvio difficile e sfortunato.
Nessuno di quel 51% che si espresse a favore della Brexit nel referendum del lontano 23 giugno 2016 poteva immaginarsi quanto complesso sarebbe stato l’iter per la separazione dall’Unione Europea e soprattutto quale fosse stato lo scenario geopolitico in cui il Regno Unito avrebbe mosso i primi passi una volta ultimato il processo di separazione.
Una lunghissima e travagliata gestazione che a livello politico ha determinato in termini di leadership la definita uscita di scena prima di Cameron e poi di Theresa May chiamata all’indomani della consultazione referendaria a gestire l’intero processo.
Instabilità politica divenuta una costante nel corso dei primi anni post Brexit e che ha rappresentato una insolita novità per il sistema politico britannico. Boris Johnson, Liz Truss, Rishi Sunak fino al neo primo ministro laburista Keir Starmer in più o meno rapida successione si sono alternati al civico 10 di Downing Street.
Proprio le ultime elezioni del 4 luglio hanno sancito, a testimonianza dell’estrema variabilità dello scenario politico, la storica vittoria del partito laburista che ha letteralmente trionfato nella consultazione elettorale portando a casa ben 410 seggi che hanno consentito, dopo 14 anni di ininterrotto governo dei Tory, il ritorno al vertice del Labour Party.
Covid e guerra in Ucraina sicuramente hanno contribuito a un clima tutt’altro che congeniale all’avvio positivo della fase post Brexit determinando dal punto di vista economico-sociale una serie di tensioni che ancora oggi condizionano lo stato di salute precario della grande isola.
Inflazione, poca crescita e tracollo commerciale.
La modesta crescita dei primi mesi del 2024 (0,6), in un simile contesto generale, non può rappresentare un fenomeno così importante da mettere in secondo piano quanto avvenuto nel lungo periodo in termini di inflazione e commercio estero. L’inflazione ha galoppato a ritmi preoccupanti negli ultimi anni, passando dal 3% del 2018 al 12% del 2023. Una massiccia impennata che non ha risparmiato i beni di prima necessità e soprattutto l’energia i cui prezzi sono in costante ascesa dal 2016. Beni che incidendo direttamente sulle condizioni di vita dell’intera popolazione sono in grado di giustificare sia l’attuale malcontento sia l’atteggiamento di sostanziale sfiducia nella capacità della classe politica a dare risposte eque e concrete in questa delicata fase di assestamento. La stessa apertura al commercio estero, una volta tornati ad erigere dogane e confini territoriali con l’Unione Europea, ha segnato preoccupanti passaggi a vuoto rendendo le esportazioni allo stesso tempo più difficoltose e meno vantaggiose per i produttori britannici.
Completa il quadro il deficit di manodopera prodotto da politiche migratorie e processi burocratici che hanno reso molto più lento il rilascio dei visti a scopo lavorativo. Il nuovo orientamento che avrebbe dovuto condurre ad un’immigrazione di qualità ad oggi sembra aver avuto, come unico effetto, il lasciare del tutto scoperti interi settori del mondo produttivo.
Brexit, una scelta irreversibile.
Per quanto ci si accorga solo oggi che la Brexit sia stata una scelta a dir poco azzardata è ormai tardi per annullarne gli effetti. Il processo che ha dato esecuzione alla volontà popolare espressa nel 2016 può ritenersi, dal punto di vista delle procedure europee esistenti, del tutto irreversibile. L’unica modalità per riammettere Londra nell’Unione sarebbe, infatti, quella prevista dall’art 49 del Trattato applicato nei confronti di qualsiasi paese terzo in caso di richiesta di adesione. Una procedura lunga e complessa che in media dura non meno di 9 anni e dove l’Unione Europea, in questo caso, sarebbe il soggetto con maggiore forza contrattuale pienamente legittimato a non fare sconti in termini di trattamento.