Il procuratore capo di Termini Imerese Ambrogio Cartosio nel corso della conferenza stampa sul naufragio Bayesian, ha evidenziato come la riforma Cartabia, che regola i rapporti tra organi di informazione e procure della Repubblica, costituisca un bavaglio alla libera informazione. “In questi giorni mi sono trincerato nel silenzio, non ho risposto alle domande rivolte dai giornalisti, ma l’ho fatto semplicemente perché è giusto che si sappia che in Italia non è consentito fare diversamente, perché il decreto 106 del 2006 vieta al procuratore della Repubblica di fare dichiarazioni se non in occasioni particolari. Questa legge crea ostacoli notevoli all’attività della libera informazione”. L’applicazione della riforma del decreto 188/2021 sulla presunzione d’innocenza (cosiddetta riforma Cartabia) costituisce, di fatto, una forte limitazione alla possibilità dei cittadini di conoscere le notizie di cronaca nera e giudiziaria in quanto prevede che le informazioni sulle indagini siano diffuse con molta cautela dalle procure. In particolare è stato introdotto il divieto di pubblicazione “integrale o per estratto” del testo dell’ordinanza di custodia cautelare (ossia il provvedimento con il quale i giudici formalizzano, su richiesta dei PM, una misura cautelare) fino all’inizio del processo, secretando le ordinanze di custodia cautelare e i contenuti fino alla fine dell’udienza preliminare. In tal modo, viene colpito e limitato non solo il lavoro dei giornalisti ma soprattutto il diritto dei cittadini di essere informati, rendendo più indifese le stesse persone private della libertà. Le restrizioni sono state attuate per recepire una direttiva europea che chiedeva il rafforzamento dell’istituto della presunzione di innocenza per gli indagati nei procedimenti penali, ovvero attenuare le conseguenze e le sofferenze materiali e psicologiche per chi sia semplicemente sottoposto a indagine, e per cui le regole del diritto prevedono che sia da considerarsi innocente fino a un’eventuale condanna definitiva. Queste norme di garanzia limitano, però, inevitabilmente, il diritto di cronaca, danno troppo potere discrezionale alle Procure e possono avere controindicazioni anche rispetto ai principi a cui sono ispirate.
La riforma ha affidato ai capi delle Procure della Repubblica le decisioni su quali notizie possano essere rese note alla stampa e quali no, e in che forma, affidandosi alla loro discrezionalità. Le limitazioni prendono spunto dalla direttiva dell’Unione europea sul “rafforzamento della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”, la quale stabilisce al punto 16 che «la presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità̀ pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l’indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l’idea che una persona sia colpevole». La direttiva comunitaria, nata con l’intento di evitare atteggiamenti persecutori, con la Riforma Cartabia rischia, però, di limitare la libera informazione in Italia. Il rapporto tra Procure e stampa, infatti, nel nostro Paese è problematico ed esiste un meccanismo di storture e abusi che limita la regolare diffusione delle informazioni ai giornalisti riguardo alle inchieste in corso. Ad aumentare la confusione sul tema v’è, poi, il punto 18 della Direttiva, che spiega quali spazi debba avere la diffusione di informazioni sulle indagini e sugli indagati, ma non ne delimita il perimetro in modo oggettivo: “L’obbligo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non dovrebbe impedire alle autorità̀ pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale, come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si inviti il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato, o per l’interesse pubblico, come nel caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni o la pubblica accusa o un’altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell’ordine pubblico. Il ricorso a tali ragioni dovrebbe essere limitato a situazioni in cui ciò sia ragionevole e proporzionato”.